GIOVANI SGUARDI

La rassegna di danza dedicata a giovani danzautori emergenti: voce alle artiste


Sulla scia delle passate edizioni della rassegna “Tracce di una nuova coreografia”, sabato 25 novembre 2023, presso il Teatro Niccolini di San Casciano Val di Pesa, la Compagnia Xe presenta “Giovani Sguardi”, dedicata a danzautori emergenti che hanno la possibilità di essere promossi e sostenuti attraverso residenze, sostegno alla produzione, all’organizzazione e alla circuitazione.

Sulla scena del Niccolini si alterneranno Ludovica Manco con Ritratto d’Assenza, Sara Ladu in PTSD di Valentina Rossi, Sara Sicuro con C’era tutta la materia del mondo 1.2. Così le coreografe e danzatrici si esprimono sulle idee di partenza dei loro lavori.

Ritratto d’assenza nasce nel 2020 da una «necessità coreografica»
Nella spirale di un tempo storico che rimescolava le sue carte da gioco, i sogni di progettualità e il percorso di crescita personale, artistica, cognitiva, spirituale. Nello specifico si muove da un momento personale di non-definizione, durante il quale il corpo come canale catartico creativo è stato motore di liberazione da una forma meccanica verso l’esigenza di contattare l’essenza dello “stare” in una dimensione umana, fragile, vulnerabile. Questa performance è nata in un ambiente che ho vissuto come profondamente evocativo, personificazione di una condizione che il corpo vestiva anatomicamente, una forma di “Assenza” intesa come “scomposizione del Sé”. Una necessità di connessione con il tempo interiore e autentico in cui la forma e l’estetica potessero finalmente iniziare a corrompersi affidandosi allo spazio esterno agente e agito dallo stesso corpo fisico.

Affronto questo lavoro come opportunità di contattare quanto superfluo accumulato, accettare i grovigli che la nevrosi umana egoica quotidianamente struttura tentando di spingermi verso l’accoglienza dell’imperfezione, della precarietà, ripulendo il gesto dei suoi adorni. Nasce da una non-identificazione con alcuna forma espressiva spesso virtuosistica, quantitativa, adattata alla richiesta del mercato che si soddisfa – per lo più – di “atti eroici” nella scatola teatrale. L’arte visiva è stata canale di orientamento e narrazione: A. Modigliani, E. Hopper, F. Bacon sono artisti che soggettivamente più di altri nel tratto, nell’azione del colore e dello sguardo ho trovato raccontassero questa percezione di liquidità, precarietà, solitudine. Assenza.

Scegliere l’improvvisazione strutturata, pur nella sua rischiosa complessità, non è casuale. “Inscatolare” del tutto questo lavoro sarebbe stata un’azione che avrebbe marciato contro esso stesso; tutto muta, il tempo muta il corpo, il corpo muta il tempo, il corpo è spazio, lo spazio è corpo che in tale struttura non può fuggire dalla sua fragilità vivendo il suo tempo. Il suono compie lo stesso viaggio fisico: Marco Minoia vive con la sua musica in Live Electronics. Suono e corpo coesistono con la condivisione di un ascolto profondo e di profonda fiducia. Non poteva che essere il tocco di questo giovane musicista ad esser presente in questa proposta così fragile e sottile. Lo ringrazierò sempre, infinitamente; incontrarlo nel cammino è stato un lusso, è un artista che ha compreso profondamente l’impulso primo di questo lavoro.

La presenza del pubblico è fondamentale, con le sue mille energie condiziona la qualità e la necessità discorsiva del corpo e del suono. Il tentativo è quello di creare vicinanza, condividere la fragilità dell’azione, l’estrema vulnerabilità dell’esposizione di sé partecipando insieme alla dialettica tra ego che interviene oniricamente, nevroticamente, tentando di bloccare nell’immobilismo la presenza, e l’essenza interiore che si spinge scomponendo la scatola esterna per ritornare a uno stato di nascita, semplice, essenziale. È un’azione comune, la performance infatti ha inizio da prima che il pubblico entri.

Ludovica Manco (coreografa e danzatrice)

PTSD nasce «dall’esigenza personale di elaborare un trauma subito nel 2020»
Poco più di un anno fa sono stata aggredita e morsa sul viso da un cane che conoscevo e questa esperienza, al momento, rimane la più traumatica che abbia mai vissuto. Per la prima volta nella mia vita ho capito che non avrei potuto superare da sola quel momento. Frammenti di quegli istanti continuavano a palesarsi davanti ai miei occhi, nei miei sogni, invadendo la mia quotidianità e non permettendomi di vivere la mia vita.

Ho deciso quindi di farmi coraggio, ammettere che avevo bisogno di aiuto e affrontare un percorso specifico di terapia, grazie al quale, pezzo dopo pezzo, sono riuscita a elaborare ciò che mi era successo. Il percorso è durato all’incirca sei mesi, verso la fine dei quali ho deciso di provare a mettere in scena tutte le fasi del trauma e della sindrome da stress post traumatico, tutto ciò che avevo vissuto. Questo procedimento è stato per me “catartico”, sicuramente difficile, ma fondamentale per la riuscita del mio percorso. Mettermi a nudo e riaffrontare quei singoli momenti mi ha permesso alla fine di vederli dall’esterno e capire che, anche se faranno sempre parte di me, non mi definiscono.

La performance è strutturata in modo tale che il pubblico possa immaginare che la protagonista stia vivendo una situazione reale, o che tutto si svolga all’interno della sua mente. A tutti nel corso della vita, per molteplici cause, può capitare di sentirsi spaesati a tal punto da non riconoscersi più. Ammetterlo e chiedere aiuto è molto più difficile di quanto ci si immagini, perché in queste situazioni le persone si sentono sole e incomprese, all’interno di una società che vorrebbe vederci sempre attivi e forti. 

Vorrei che questa performance fosse di incoraggiamento per chi ha passato momenti simili al mio. Ogni esperienza ci rende ciò che siamo e a volte da una cosa brutta possiamo cercare di creare qualcosa di bello, o almeno di nuovo. Il finale è una sorta di ricongiungimento tra ciò che la protagonista era prima dell’esperienza traumatica e cosa è diventata dopo. Purtroppo non è possibile cambiare il passato o cancellare i brutti ricordi ma, lavorando su sé stessi, è possibile convivere con essi per poi andare avanti con la propria vita.

Valentina Rossi (coreografa)

Sicuramente PTSD è un pezzo che richiede una forte energia, non solo fisica ma anche emotiva, per poter trasmettere quelle che sono le fasi della sindrome da stress post traumatico. L’immedesimazione è il primo strumento necessario, per poi passare alla ricerca nel proprio bagaglio emotivo e delle giuste sensazioni per esprimere il messaggio della coreografia e al tempo stesso renderlo proprio. Il lavoro di immedesimazione e interpretazione è un processo in continua evoluzione, poiché ogni volta che la coreografia viene eseguita si rivela una sua nuova sfaccettatura.

Sara Ladu (danzatrice)

«C’era tutta la materia del mondo 1.2 » nasce da due progetti precedenti: «Il gesto, il lavoro, il paesaggio» e «Time_C’era tutta la materia del mondo»

Entrambi nascono dal momento in cui le urgenze artistiche si legano a quelle più intime e personali: il bisogno di riavvicinarmi affettivamente a casa, al Salento, di interrogare il luogo in cui sono nata e cresciuta, di riavvicinarmi alla generazione di una comunità che sta scomparendo, di un paesaggio ricordato e sognato, dà avvio a un progetto performativo e di comunità dal titolo Il gesto, il lavoro, il paesaggio e a un film/documentario. Qui viene indagata la relazione tra luoghi e mestieri attraverso un’attenzione particolare al corpo, alle sue gestualità e al paesaggio di un territorio. In seguito nascerà Time_C’era tutta la materia del mondo (tra i cinque finalisti del Premio Theodore Rawyler 2023/ TenDance Festival di danza contemporanea), un primo studio performativo che mira a porre lo spettatore a interrogarsi circa il valore del tempo, nello specifico del tempo in varie pratiche di lavoro (artigiani e operai).

Un dialogo con le voci, le posture e i gesti degli artigiani e degli operai che ho incontrato durante il percorso di ricerca artistica e di vita. L’incontro poi prezioso con la coreografa Elena Giannotti, che cura la consulenza drammaturgica del lavoro, e con Spartaco Cortesi, che scrive la musica, lo portano a maturazione, dando vita a C’era tutta la materia del mondo 1.2. Trasformando così nuovamente la materia testuale da portare in scena e riascoltando le interviste fatte, trascrivo e seleziono le riflessioni dei lavoratori che più mi colpiscono in quel momento della mia vita. Le parole quindi che porto in scena tramite la mia voce parlano del vuoto, del tempo sospeso, della presenza e dell’assenza, parlano del trascorrere del tempo, della conoscenza materica e fisica delle cose, dei gesti ripetuti e del loro effetto meditativo.

Riprendo le parole della coreografa Meg Stuart per esprimere un’immagine/concetto su cui mi è interessato lavorare, ritrovando dei contatti quell’“antico fare artigiano proprio dell’uomo”: «Ciò che è caratteristico del mio lavoro è una sorta di sospensione o estensione del tempo. Vedere un’immagine e poi rivederla, sperimentarla più di una volta, andare oltre la prima impressione in modo che diventi qualcosa di completamente diverso per te rispetto a quando è apparsa per la prima volta. (…) È un momento di riconoscimento per il pubblico in un mare di cambiamenti. La ripetizione a volte è utile per costruire la necessità del cambiamento».

Nella preistoria dell’uomo un impulso primordiale ha generato il desiderio di lavorare la materia e trasformarla. La mia coreografia perciò dispiega una danza materica e intima, che possa lasciare traccia nello spazio e nel tempo; diventa un paesaggio interiore che rivela nostalgia di un passato fatto di gesti e comunità antiche.

Sara Sicuro (coreografa e danzatrice)


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